Con la sentenza n. 13525/2025, la Corte di Cassazione torna a fare chiarezza su un tema che, negli ultimi anni, ha generato non poche incertezze tra aziende e lavoratori: la possibilità di anticipare il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) attraverso un’erogazione mensile continuativa in busta paga, in forza di un accordo individuale sottoscritto tra le parti.
La Corte ha stabilito che tale prassi non è legittima, ribadendo i limiti posti dall’art. 2120 del Codice Civile in materia di anticipazioni sul TFR.
Secondo la Suprema Corte, un accordo individuale che preveda il pagamento del TFR ogni mese, insieme alla retribuzione ordinaria, non può derogare al regime legale previsto dall’art. 2120 c.c.
Infatti, pur riconoscendo la possibilità per le parti di introdurre condizioni di miglior favore rispetto alla disciplina legale, i giudici hanno chiarito che tali condizioni non possono stravolgere la funzione e la natura del TFR.
In particolare, il TFR non è una componente ordinaria della retribuzione, ma una somma che si accumula durante il rapporto di lavoro per essere corrisposta alla sua cessazione o, nei limiti di legge, anticipata su richiesta del lavoratore.
Il patto individuale di corresponsione mensile del TFR, quindi, non ha valore e non può essere considerato valido neppure come un “trattamento di miglior favore” per il dipendente..
La Cassazione ha quindi confermato che l’INPS può pretendere la contribuzione ordinaria sulle somme corrisposte mensilmente a titolo di TFR, trattandole di fatto come retribuzione corrente, poiché erogate in violazione del regime legale. Tale posizione era già stata anticipata, peraltro, dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota n. 616/2025, che aveva ribadito l’impossibilità di considerare legittima la prassi di corrispondere mensilmente il TFR, pur in presenza di accordi individuali.